“Il primo abbraccio” – Foto simbolo del 2020 – World Press Photo 2021

“Il primo abbraccio” (The first embrace) del danese Mads Nissen ha vinto il World Press Photo 2021, il prestigioso premio internazionale di fotografie giornalistiche. Non è un caso che la foto simbolo del 2020 sia questa. Un anno devastato dalla pandemia del coronavirus che ha colpito soprattutto i più fragili, gli anziani, in tutto il mondo. Un’intera generazione decimata e costretta all’isolamento. Dopo cinque mesi, Rosa Luzia Lunardi, 85 anni, ritratta nella foto, ha ricevuto il primo abbraccio dall’infermiera Adriana Silva da Costa Souza, nella casa di cura Viva Bem a San Paolo in Brasile.

Molte Rsa hanno chiuso per mesi qualsiasi visita. Un isolamento che risale ormai a un anno fa, e che purtroppo continua con danni irreversibili, come dimostrano le numerose testimonianze raccolte in tutta Italia da Felicita, pubblicate a settembre 2020 nel Libro bianco “Anziani senza famiglia. La normalità negata nelle RSA”. Ci stiamo rivolgendo ai Prefetti dei principali Comuni perché intervengano presso le RSA, affinché cessi questa reclusione ingiustificata.

Oltre 400 morti al Pio Albergo Trivulzio e altre RSA – Radio Popolare

Saranno le prossime settimane decisive per il lavoro della Procura di Milano sugli oltre 400 morti al Pio Albergo Trivulzio, oggetto di decine di esposti e di una maxi consulenza depositata in procura.

“Quanto successo all’interno del Trivulzio, gli errori grossolani e le negligenze devono assolutamente evidenziare le responsabilità delle morti e delle lesioni, delle morti collaterali e degli abbandoni. Siamo in attesa di capire dove nella catena di responsabilità ci siano state le falle inaccettabili che hanno portato alla strage che conosciamo, aspettiamo le prossime settimane per fare luce su quanto successo”, ha dichiarato il Presidente di Felicita, Alessandro Azzoni, in una intervista a Radio Popolare.

I nostri vecchi dimenticati e sepolti nel buio delle RSA – quotidiano Il Dubbio

Gli anziani isolati – detenuti innocenti – sentendosi abbandonati dai familiari si lasciano andare.

La maggioranza delle RSA non riesce a fornire servizi essenziali, quali fisioterapia, servizi odontoiatrici ecc..

L’intervista del Presidente Azzoni al quotidiano “Il Dubbio”

Lettera ai Prefetti per riaprire le visite ai parenti nelle RSA

Richiesta incontro . Oltre al Prefetto di Milano, per gli associati che lo hanno richiesto, abbiamo scritto ai Prefetti di: Pavia, Varese, Brescia, Mantova, Como, Bergamo, Monza Brianza, Cremona, Cuneo, Treviso, Vicenza, Genova, Bologna, Terni, Firenze, Roma.

Continua la campagna di sensibilizzazione su tutto il territorio nazionale per contrastare il perdurante e drammatico blocco degli incontri con i parenti nelle RSA. Ci siamo rivolti proprio ai Prefetti in quanto rappresentanti del Governo a livello locale per chiedere un intervento volto a far cessare lo stato di isolamento che da oltre un anno sta creando seri danni alla salute psico-fisica degli anziani e gravi disagi ai familiari. Sono già iniziati gli incontri a distanza con i Prefetti che ci hanno risposto, e altri appuntamenti sono in programma per le prossime settimane. È ora che le istituzioni mettano in agenda le riaperture in sicurezza, troppo lungo è stato il silenzio con danni irreversibili.

Manca un piano per la riapertura delle RSA – Il Fatto Quotidiano

Manca un piano per la riapertura delle Rsa a livello nazionale. Le visite rappresentano un costo per le strutture, che nel gioco dello scaricabarile delle responsabilità preferiscono non sostenere nonostante sia indispensabile per la cura degli ospiti. Siamo alla deriva autarchica.

“Andrà così fino a quando le linee guida e gli obblighi di legge lasceranno la discrezionalità agli enti gestori” ha dichiarato in una intervista al Fatto quotidiano il Presidente di Felicita, Alessandro Azzoni.

Vaccinati e isolati, per gli anziani nelle Rsa dopo le somministrazioni non c’è il piano per gli incontri con i parenti. E il lockdown continua

Vaccinati e isolati, per gli anziani nelle Rsa dopo le somministrazioni non c’è il piano per gli incontri con i parenti. E il lockdown continua

Associazione Felicita: “Autarchia dei gestori che fanno una scelta basata sul profitto: acquistare una stanza degli abbracci è un onere, come lo è quello di impiegare più personale per le visite protette dei parenti che si potrebbero fare tranquillamente, ma bisogna investire”. Spi Cgil Lombardia: “Cultura italiana dello scaricabarile nelle responsabilità”. Ordine dei Medici: “Col vaccino rischio di infezione ridotto, pensare a una soluzione è possibile e doveroso”

di Gaia Scacciavillani | 21 MARZO 2021

sindaci del distretto di Lecco nei giorni scorsi si sono addirittura premurati di sollecitare la Prefettura che, perfino in zona rossa, ha dato il via libera agli spostamenti dei parenti degli ospiti Rsa finalizzati a far visita ai loro cari. Il prefetto Castrese De Rosa ha infatti condiviso “l’importanza di non interrompere” nuovamente la possibilità di un rapporto tra gli ospiti delle strutture e i loro “contatti vitali, che in questa fase dell’esistenza rappresentano un punto di riferimento essenziale”, come si legge in una nota datata 16 marzo. Una rarissima eccezione che conferma la regola, in tempi in cui se anche non ci fossero le zone rosse le visite agli anziani in Rsa sono merce rara quanto le sigarette al mercato nero in tempi di guerra.

Questione di scelte economiche secondo il presidente dell’associazione Felicita, Alessandro Azzoni che parla di deriva autarchica dei gestori delle case per anziani, le Rsa. Altri, come Federica Trapletti, segretaria del sindacato pensionati della Cgil della Lombardia, puntano il dito contro la cultura italiana dello scaricabarile nelle responsabilità che in questo caso vede protagonisti Regioni, governo e gestori delle strutture, con la palla che è rimasta tutta nelle mani dei direttori sanitari che non se la sentono di sostenere il peso delle proprie scelte e preferiscono sopportare quello delle non scelte. Fatto sta che la circolare ministeriale di fine novembre che invitava le case che ospitano anziani cronici non autosufficienti a non far morire di solitudine i sopravvissuti al Covid, favorendone l’incontro con i parenti, gli assistenti spirituali, i volontari, gli animatori e gli assistenti sociali, è rimasta pressoché inascoltata. Nell’indifferenza generale. E la campagna vaccinale, che nel caso delle Rsa è praticamente andata in porto, non ha cambiato le prospettive.

Rara l’eccezione di chi, come la Regione Toscana, nelle scorse settimane ha stanziato quasi 1 milione di euro in strumenti per favorire i contatti degli anziani con l’esterno come tablet, schermi, lavagne multimediali e, naturalmente, le stanze degli abbracci. La virtuosa Emilia Romagna, che lo scorso autunno aveva anticipato tutti offrendo tamponi rapidi gratis alle sue Cra (Casa residenza per anziani non autosufficienti) per poter continuare a permettere le cosiddette visite parentali protette, non pensa ancora alla luce in fondo al tunnel e conferma solo i protocolli della scorsa estate. Idem l’anzianissima Liguria, che la circolare del ministero della Salute non l’ha quasi vista e la super Asl regionale Alisa non immagina neppure di chiedere conto alle sue strutture di come viene stimolata la socialità dei loro ospiti o di inviare assistenti sociali al loro interno, o ancora di prendere in considerazione, parallelamente ai doverosi risarcimenti per le Rsa che hanno alleggerito il carico di lavoro ospedaliero, anche degli indennizzi per gli anziani sopravvissuti, sotto forma per esempio di stanziamenti per attività terapeutiche aggiuntive.

In Lombardia, poi, è peggio che andar di notte: la regione con più Rsa in Italia, oltre 700, conta solo 18 stanze degli abbracci. Le infrastrutture dal costo medio di 2.500 euro oltre l’Iva, oltretutto, ci sono solo grazie alla generosità dello Spi Cgil lombardo, il sindacato dei pensionati che ne ha fatto dono alle strutture, in alcuni casi facendo anche fatica a trovare enti disposti a installarle. Non solo, come racconta Trapletti, con l’imperversare della terza ondata nel bresciano la Regione che pure si è premurata di vaccinare i docenti universitari, ha deviato le vaccinazioni destinate ai nuovi ingressi nelle Rsa sulla zona rossa. Ma la performance peggiore è del Trentino, dove Francesca Parolari, la presidentessa di Upipa, l’associazione che rappresenta la maggior parte delle Rsa provinciali, è stata sfiduciata dal suo consiglio per aver dato il via libera alla riapertura delle visite in struttura. “Sono orgogliosa di aver concluso questa esperienza con il risultato più bello: quello di aver permesso agli ospiti di incontrare i parenti”, ha commentato a caldo l’interessata che alle accuse di aver agito in contrasto con le decisioni del cda e senza avallo dell’Apss, replica di aver avuto il via libera scritto del direttore generale dell’Azienda provinciale per i servizi sanitari.

Inutile dire, poi, che nonostante la campagna vaccinale almeno per le Rsa sia conclusa o prossima alla conclusione, nessuna Regione ha ancora previsto una road map che porti un po’ di luce agli anziani ospiti delle residenze, preparandone la riapertura quando la terza ondata si sarà placata. Anzi, qualcuno fa perfino fatica a concedere appunto le visite protette che erano state codificate dall’Istituto Superiore di Sanità e da molte regioni fin dalla scorsa estate, con protocolli che prevedono gli incontri in aree delle strutture predisposte ad hoc, con la protezione di plexiglass, dei dispositivi e previo tampone rapido all’ingresso dei visitatori.

Come dire passata la festa gabbato lo santo: quando l’Italia più o meno un anno fa ha scoperto le residenze sanitarie assistenziali per anziani cronici in occasione del loro abbandono in preda al Covid, l’attenzione era molto alta sui vecchietti fragili vittime silenziose della pandemia, innescando proposte di rinnovamento per ricucire lo strappo sociale e placare i sensi di colpa, mentre le inchieste giudiziarie facevano il loro corso. Poi la vita e la non vita della pandemia hanno ripreso a correre e l’inserimento prioritario nella campagna vaccinale deve aver dato l’impressione che tutto quello che poteva rientrare, fosse rientrato. Invece no.

“Andrà così fino a quando le linee guida e gli obblighi di legge lasceranno la discrezionalità agli enti gestori: quello che la pandemia ha solo evidenziato è che le Rsa oggi sono come delle piccole cittadelle medievali in cui si alzano i ponti levatoi e i diritti e i bisogni e i servizi che dovrebbero essere erogati vengono sacrificati in nome del profitto“, sostiene Azzoni che sottolinea come dal ministero della Salute a fine anno siano uscite solo “delle linee guida, non degli obblighi per gli enti gestori che in realtà senza parenti hanno tanto da guadagnarci, perché evitano occhi indiscreti, critiche e potenziali verifiche che dovrebbero attenere alla regione, all’Ats o al comune titolare dell’accreditamento, che in questo modo viene meno”. Il presidente dell’associazione per i diritti nelle Rsa, che pure riconosce come ci siano “casi di buona volontà sparsi sul territorio”, sottolinea che “oggi le Rsa non sono purtroppo più alle cronaca, ma la tragedia non è finita. L’abbandono di un’intera fascia della popolazione nelle Rsa, dove l’isolamento sta creando altrettanti danni del virus, è l’attualità nel silenzio generale. Abbiamo perso come società, se non c’è una reazione a questo dramma, perdiamo tutti”

Secondo Azzoni, “gli enti gestori sono barricati in questo ghetto in un silenzio totale che non dà risposte né in termini di soddisfazione delle necessità di chi vive all’interno, né ai parenti che chiedono in tutt’Italia di entrare in contatto con i propri cari e gli viene impedito. Di fatto negando il diritto alla libertà degli ospiti, quasi fossero degli innocenti prigionieri che hanno commesso il reato di essere vecchi”. Un tema quest’ultimo che Felicita ha per altro già sottoposto al garante dei detenuti e delle persone private della libertà personale, Mauro Palma, secondo il quale con la chiusura imposta dal Covid “tutte le persone devono essere tutelate dall’istituzione esterna di garanzia perché sono private della libertà personale non de iure, ma de facto”, come si legge sul Manifesto del 3 settembre scorso.

Ma come mai allora le acque ancora non si smuovono? “Il governo si è limitato a rimandare alle Regioni, le Regioni rimandano alle singole Rsa semplicemente non obbligandole ad aprire né a prestare quel servizio di assistenza obbligatorio minimo che è l’assistenza psicologica – è l’interpretazione di Azzoni – È un grande scaricabarile. In ultimo ci sono le Rsa a cui viene in qualche modo data libertà di fare quello che vogliono e il più delle volte tra la scelta di aprire e non farlo, fanno una scelta basata sul profitto: acquistare una stanza degli abbracci è un onere, come lo è quello di impiegare più personale per le visite protette dei parenti che si potrebbero fare tranquillamente, ma bisogna investire. Quindi ancora una volta vediamo gli anziani trattati come righe di bilancio in una sanità votata al profitto piuttosto che alla salute, come invece è scritto nella nostra Costituzione ed ecco che su larga scala è meglio chiudere tutto e aspettare tempi migliori. Ma quale tempo peggiore può essere un anno di reclusione per persone in fragilità che non hanno altro che i propri cari per avere un contatto con la vita? Sono persone che non hanno tanti anni davanti da vivere e proprio per questo andrebbe loro garantita una migliore qualità della vita”.

Fulvio Borromei, medico Palliativista, in rappresentanza della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri (FNOMCeO), interpellato in merito sul punto, risponde che “se queste persone fragili vengono vaccinate e si riduce quello che è un oggettivo rischio di infezione, si può pensare a trovare una soluzione che permetta di vedere i familiari o persone vicine che possano migliorare lo stato psichico di questi ospiti. La nostra posizione è da una parte di tutelare l’habitat in cui vivono queste persone, dall’altra con la vaccinazione alle porte questa degli incontri è un’attenzione che deve essere concessa”.

Magari ci vorrebbe un po’ più di sostegno ai direttori sanitari che sono stati lasciati soli ad affrontare tutte le decisioni chiave: “Non dobbiamo dimenticare il prenderci cura, ma è chiaro che ci deve essere anche una condivisione delle responsabilità: ci siamo trovati di fronte a questo drammatico evento che è la pandemia e chi ha le responsabilità ne sente il peso, però credo che bisogna riflettere e ragionare sul fatto che queste responsabilità possano essere divise o compartecipate. L’ospite rimane prioritario, lo tuteliamo, ma credo che sia venuto il momento: dopo un anno abbiamo strumenti migliori per combattere la diffusione del virus, abbiamo conoscenze migliori e dobbiamo metterle in campo per poter magari migliorare il rapporto umano e il prendersi cura”, aggiunge Borromei che parla di occasione di unitarietà che stiamo perdendo: “Qua succede che tutti hanno paura di prendere delle decisioni perché poi il giorno dopo si risulta colpevoli. Bisogna modificare questa mentalità: è chiaro che se si è negligenti si è colpevoli, però se ci si muovesse insieme per affrontare un nemico storico… “.

I nostri anziani isolati da mesi – La Repubblica

La Repubblica 20.03.21

Oltre un anno dall’inizio della pandemia la situazione è intollerabile. “Le RSA sono chiuse, inaccessibili come cittadelle medievali, nonostante siano iniziate le vaccinazioni agli ospiti, al personale e ai caregivers».

Con queste parole inizia l’intervista a Repubblica, del Presidente di Felicita Alessandro Azzoni.

I parenti non vedono i loro cari da oltre un anno – Rai Radio 3 – Prima Pagina

Ringraziamo la nostra associata di Orvieto, intervenuta alla trasmissione “Prima pagina” di Radio 3 condotta da Gad Lerner, per aver portato la sua preziosa testimonianza sulle chiusure delle visite nelle Rsa dove risiedono migliaia di italiani. Con i tamponi e vaccini avviati gli anziani, anche quelli malati di alzheimer, che hanno ancor più bisogno della cura dei familiari, rimangono drammaticamente isolati nel silenzio delle istituzioni.

Gad Lerner – Prima Pagina – Rai Radio 3 – 17.3.21

Tutto è cambiato, nulla è cambiato. Il punto di vista dei parenti

Intervento del Presidente di Felicita, Alessandro Azzoni, al convegno SPI “RSA – Conoscerle per rinnovarle” del 15/03/2021

Durante questo lungo anno in cui si è consumata la tragedia che ha toccato in modo cosi duro gli anziani, per noi familiari di un  genitore o di un nonno ricoverato nelle RSA molte cose sono cambiate: siamo precipitati in un tunnel di dolore per i morti, di angoscia per i sopravvissuti che sono rimasti isolati, di preoccupazione per la lontananza e l’assenza di notizie, di rabbia e impotenza di fronte al  muro delle istituzioni, di sensi di colpa per una scelta magari obbligata ma presa nella certezza che fosse garantita la protezione del nostro parente. 

E insieme a questo, il cambiamento ha portato anche la maggior conoscenza di un mondo  complesso che fino ad allora ci appariva scontato e naturale.  Abbiamo imparato – dalle analisi degli esperti, dalle inchieste dei media e da ricerche approfondite come questa – a capire i motivi che legano il funzionamento delle RSA, la loro organizzazione e i criteri che ne regolano le scelte con un modello socio-sanitario debole e irrisolto, poco legato ai bisogni delle persone sul territorio.

E ci sembra che l’esperienza tragica di quest’anno stia iniziando a cambiare – grazie anche agli interventi del mondo cattolico –  il pensiero comune su quella cultura utilitaristica che considera la fragilità della vecchiaia qualcosa di marginale da nascondere, una sorta di destino negativo inevitabile da allontanare allo sguardo.        

Della necessità di cambiare il modello delle RSA, da oltre trent’anni considerate la soluzione più efficiente alla perdita di autonomia degli anziani, sono in molti oggi a parlare. 

Ma quello che invece non ci sembra cambiata è la volontà di revisione dei propri criteri gestionali nel mondo RSA, che anzi si è rinchiuso in una trincea difensiva dove la logica dell’autoprotezione (dai rischi legali, dal calo dell’utenza e quindi dei profitti, dalle necessità di riorganizzare i servizi) prevale sull’urgenza di mettere i bisogni degli utenti al centro, salvaguardando i diritti alla cura e a una vita dignitosa degli anziani.

Parliamo in generale, soprattutto delle grandi RSA proprietà di gruppi finanziari, ben sapendo che  ci sono casi di buona volontà sparsi sul territorio. osservando come le diverse R.S.A hanno gestito l’emergenza pandemia ci siamo trovati di fronte a differenti realtà: quelle con una cultura aziendale attenta al benessere organizzativo, dove un management più sensibile ha saputo gestire meglio la situazione ponendo attenzione alla cura senza perdere il senso dell’umanità, e altre strutture pervase da processi di vera e propria disumanizzazione che hanno coinvolto ospiti, lavoratori e parenti. Ed è proprio qui che si segnano i confini e le differenze tra luoghi di cura e organismi produttivi finalizzati a un profitto costruito sullo sfruttamento dei lavoratori  oltre che sulla sofferenza di chi invecchia e delle famiglie.

Ci appare tuttavia evidente che la pandemia, con i suoi esiti terribili,  anziché occasione di riflessione critica, è diventata spesso alibi per difendere gli interessi economici della categoria, alzando un muro nei confronti dell’esterno.

E questo muro difensivo sta danneggiando proprio l’immagine delle RSA stesse, spingendo molti a chiedersi fino a dove può arrivare  un modello di assistenza che pretende di tutelare le persone più fragili come gli anziani e i disabili non-autosufficienti, rinchiudendoli e isolandoli, sacrificandone la libertà e la dignità di essere umani.

A chiedersi, insomma, se può funzionare un modello dove si lascia ai gestori delle strutture facoltà di decidere sulla loro vita. 

E qui veniamo al tema, a nostro parere centrale, quello dell’apertura e della trasparenza di una struttura che fornisce servizi a persone fragili.

Il confine sottile tra l’essere un “contenitore protettivo” e contemporaneamente un “luogo di cura e assistenza aperto” ha portato molte strutture residenziali, a partire dalla prima ondata del Covid, a seguire la strada piú facile: quella di ritenere giustificata una gestione autarchica e impermeabile all’esterno.

A distanza di un anno, nonostante le vaccinazioni agli ospiti e al personale, nonostante le misure di

sicurezza e i tamponi obbligatori per le visite, nulla è cambiato: gli anziani sono tuttora isolati e subiscono gravi danni psicofisici, molti si lasciano andare, perdono l’autonomia, peggiorano le facoltà cognitive. Nonostante questo, tra il rischio possibile di contagio e il danno certo dell’isolamento si preferisce seguire la strada della chiusura.

Il ghetto non è soltanto un luogo circondato da mura invalicabili,  è anche il luogo dell’indifferenza, del disinteresse e dell’abbandono. La qualità della vita – la  vita stessa – non può esistere in un ghetto, e la ghettizzazione delle RSA è oggi la prima causa di  malessere degli ospiti.

Recente è il caso della Presidente di un’associazione che raggruppa le istituzioni per l’assistenza del Trentino,  sfiduciata dal suo CdA per aver deciso la riapertura delle RSA dopo il lungo lockdown che, recludendo gli anziani,  ha creato altrettanti danni del contagio stesso.

Una strada di isolamento I cui danni non incidono solo sul soggetto direttamente colpito, ma anche sugli stessi familiari care-givers che rappresentano il canale privilegiato, spesso l’unico, di rapporto con il mondo esterno.

Il paziente senza famiglia è un paziente indifeso, perché una famiglia attiva alle spalle rende l’ammalato più forte e protetto di fronte alle violenze implicite in un’istituzione totale.

I parenti,  che fino a un attimo prima costituivano una presenza quotidiana utile nella struttura, anche supplendo alle carenze dei servizi di assistenza e alla difficoltà di conoscere e comprendere l’anziano nei suoi bisogni, sono invece diventati per le RSA quasi un nemico, fonte di possibili contagi ma  soprattutto di controllo e di potenziale minaccia.  

Su questo tema, la nostra associazione ha raccolto le testimonianze dei parenti su quanto avveniva a livello nazionale nelle RSA e redatto il Libro bianco sulla normalità negata nelle Rsa ‘Anziani senza famiglia’ che abbiamo consegnato al Presidente della Commissione istituita dal  Ministero della Salute, Monsignor Paglia. 

Si ha l’impressione che anziché considerare come indicatore di buona assistenza l’alleanza terapeutica tra residente, famiglia e operatori, le istituzioni abbiano legittimato l’autarchia gestionale delle RSA rispetto ai controlli esterni.

Il legame tra apertura e trasparenza, tra controllo esterno e qualità del servizio  ci pare invece una variabile fondamentale. Per questo andrebbe reso obbligatoria in ogni Rsa l’istituzione di un  Osservatorio costituito da rappresentanti dei familiari, esperti e operatori, al di fuori degli organismi interni alla struttura, che potrebbe svolgere un ruolo consultivo e propositivo sugli interventi  tecnici e migliorativi sia sulle problematiche di carattere generale che sull’organizzazione dei servizi.

Un punto di riferimento elettivo indipendente, dove i familiari e gli operatori si riconoscono nella funzione di rappresentanza degli interessi comuni e di controllo sul rispetto di diritti e doveri  delle parti.   

Per concludere, non c’è cura né assistenza che non passi dal riconoscimento dell’anziano come individuo portatore di bisogni e di diritti, e dal rispetto della sua dignità di essere umano.

Nelle scelte da compiere va dunque modificato il paradigma che vede gli interventi rivolti agli anziani centrati solo sul trattamento della malattia, in direzione di un’idea di cura che tenga conto dei bisogni globali della persona.

Cruciale, nel futuro delle strutture per anziani sarà quindi la conciliazione protezione e conservazione della qualità di vita, secondo criteri di cautela nel buonsenso, ma anche nel ‘buon cuore’, con uno sguardo di empatia e di pietas.   Perché la sorte degli anziani è il nostro stesso destino, come individui e come società.

Rsa – ora si muore per l’abbandono

Il Giorno – 14.03.21

Il dramma non è finito. Chi è sopravvissuto al coronavirus sta morendo per l’abbandono. Adesso l’emergenza non è più legata ai contagi, ma all’abbandono.

Abbiamo sollecitato le istituzioni a tutti i livelli. Oggi chiediamo al prefetto di Milano, Renato Saccone, di intervenire perché le strutture siano obbligate ad aprire le porte. Rispetto a marzo dell’anno scorso ora ci sono le condizioni per organizzare visite in sicurezza.

Intervista TG5 su indagini al Trivulzio – 31.01.20

La posizione di Felicita, espressa anche dal Presidente Alessandro Azzoni in un servizio del Tg5, sulla richiesta di proroga di sei mesi delle complesse indagini della Procura di Milano.

Siamo fiduciosi che in questo tempo, con l’avvenuto deposito della relazione dei periti, saranno approfondite le reali responsabilità penali relative ai numerosi decessi occorsi la scorsa primavera durante la gestione della pandemia al Pat.

Come abbiamo detto in altre occasioni, la nostra associazione non cerca vendetta ma attende verità certe e giustizia equa per quelle che al momento risultano essere oltre 100 parti offese. A luglio, dopo la presentazione dei risultati della Commissione di verifica Ats, che attribuiva all’assenteismo del personale le responsabilità per le carenze di interventi nella struttura, Felicita indicava – tra le responsabilità della Direzione taciute dalla Commissione – le carenti procedure di sicurezza interne, tra cui l’assenza del Documento Valutazione Rischi, obbligatorio per una corretta gestione dell’emergenza. Dalle notizie emerse risulta che per l’ipotesi del reato per omicidio colposo ed epidemia colposa in seguito proprio alla violazione delle norme di sicurezza e di salute sia indagato il Direttore Generale e la struttura stessa. Se allora, oltre ai decessi per contagio ci furono molte vittime collaterali dovute alle carenze di cure e allo stato di abbandono, oggi sono gli anziani isolati e lontani dai parenti, che si lasciano morire per la solitudine e la depressione a rischiare di aumentare quel numero.